Ma che fate, mi sfidate? E allora beccatevi questa stranacronaca, scritta come un giornalista non dovrebbe mai scriverla. Ve la siete proprio meritata. Un abbraccio nonostante la sfida a tradimento

                               Renato d'Aquino

                             1969-72 classico B  

 

Soffiava impetuoso lo scirocco. Soffiava talmente forte che già sotto i portici di Palazzo Reale ci calcavamo il duepizzi tanto a fondo da sembrare cappelloni. Erano 33 anni che non lo calzavo così a fondo, ma c'era chi non lo faceva da molti più anni, anche se gli dispiaceva ammetterlo. Peppe D'Angelo, ad esempio. Sì, proprio lui: eccolo nella fila davanti alla mia, allineato e coperto nella compagnia d'inquadramento che avrebbe dovuto affiancare quella del Cinquantenario nella Grande Piazza. Avvolto in un cappottone di cammello, sogghigna mentre cerco di accendere una sigaretta nel maligno scirocco africano. Accanto a me se la ride pure Genni Talamo che tante volte aveva dovuto sfilare al mio fianco per motivi d'altezza. Anche lui, come Peppe 'o Prufessore, non sa che quella compagnia di lì a poco si sarebbe parcheggiata all'estrema sinistra dello schieramento, mentre il resto degli ex allievi avrebbe allegramente e liberamente ciaccolato e bivaccato sotto il palazzo del Circolo Ufficiali. Loro non lo sapevano, io sì, e quella piccola reticenza mi faceva sogghignare sotto i baffi. Ridete, ridete che poi...

Sale il frastuono, con Ciccillo che abbraccia Mimino che dà pacche a Sasà che fa volare il duepizzi a Fefè che nel riafferrarlo piomba addosso a Lillo che si gira e manda a quel paese Franci che coglie l'occasione e gli chiede il piombo che vola nello scirocco sfiorando pericolosamente i colbacchi dei granatieri di Sardegna che si gonfiano nel vento come il Genova di Luna Rossa. Ed è proprio l'oscillare dei loro colbacchi che ci avvisa che dobbiamo marciare, dal momento che il quella cagnara da tregenda non si riesce a sentire nemmeno quello che ti sta raccontando il vicino di fila. Figuriamoci gli ordini. Una volta nella piazza, però, il rimbombo degli imperiali riesce a darci il passo giusto e perfino le conversioni ci riescono bene. Marciamo niente male in quella Piazza che da sempre è nostra, ma non riusciamo a far meglio dei vecchi ragazzi che ci precedono, quelli che 50 anni fa, valigia in mano, avevano salito via Monte di Dio sperando chissà in cosa per uscirne tre o quattro anni dopo con un cuore gonfio così.

Una volta occupata la nostra posizione, ecco i primi dubbi dei tapini inquadrati nella compagnia d'inquadramento: e mo' che si fa? Ma io ho i miei compagni di corso dietro le transenne, perchè non posso andarli a salutare? Squilla un telefonino. E' il mio e mia moglie, in piena vista tra il pubblico, mi chiede: "Dove sei?". Subito dopo mi indica a mio figlio: "Guarda papà, è lì in mezzo". Ne squilla un altro dietro di me. Più o meno la stessa conversazione. Risquilla il mio telefonino. Stavolta è il pargolo, il d'Aquino del Duemila che mi segnala di aver finito le fotografie. Quindici scatti presi da lontanissimo e, quindi, inutilizzabili. Passano i labari. Roberto Del Piano è più marziale di quando faceva volare la mazza alla testa della batteria tamburi, e ciò gli vale la qualifica di portalabaro a vita. Così impara. Passa la bandiera e ci riallineiamo per cantare l'Inno di Mameli. Canta anche il pubblico ed io non posso fare a meno di ricordare i tempi di piombo, quanto cantare l'Inno non era politicamente corretto. Panta rei.

Scorre la cerimonia, ma noi, all'estrema sinistra, non sentiamo quasi nulla: l'impianto acustico dalla nostra parte non funziona, forse è rimasto danneggiato dalla manifestazione che si è svolta il giorno prima. Anche il "LO GIURO!" degli allievi del 215.mo Corso giunge attutito.

Infine l'ammassamento. Sotto i portici della Reggia si formano le compagnie di Ex. Come le carte da poker, mischia che ti rimischia, ecco i blocchi compatti in fila per nove. I miracoli di Pizzofalcone. I consiglieri Nazionali scortano fieri il labaro, ma il sottoscritto non riesce a sfilarsi dalla benedetta compagnia. Strano: trent'anni fa lo squaglio era la cosa che mi riusciva meglio, ma s'invecchia e si torna a calcare il duepizzi come cappelloni. Risfiliamo a Piazza Plebiscito con sorpresa finale. Per ultima dovrebbe sfrecciare la compagnia dei bersaglieri, ma ad essa si accoda di corsa una compagnia di scalpitanti Ex che, al passo dei fanti piumati, percorre tra gli applausi tutta lo spazio. L'arrivo dei trafelati guaglioni nelle retrovie dello schieramento viene accolto da un boato di giubilo: gli altri Ex li festeggiano neanche avessero guadagnato la promozione in Serie A col Napoli. Mi rosicchio le unghie fino al gomito per l'invidia: sapevo della sorpresa finale e volevo essere con loro, ma stavo ancora lì, nella compagnia d'inquadramento. Ma a chi è venuta 'sta bella pensata?

Allo "Sciogliete le righe" corro a prendere il figlio: c'è il "Pompa" da cantare, ma il Battaglione Allievi sembra essersi dissolto nei meandri del Palazzo Reale. Cincischiamo nel cortile per una mezzoretta, poi, finalmente, ecco i Cappelloni che, timidamente, si affacciano. Nugoli di Ex li circondano immediatamente, sembra di assistere al ballo finale del film "Per favore non mordermi sul collo", con i vampiri che sorgono da ogni dove. Ma noi (lo giuro) i Kaps non li abbiamo morsi neanche un po'. Ci siamo limitati a "sussurrargli" la canzoncina che ci piace tanto. Terminato il rito, ce ne andiamo a mangiare, immergendoci nuovamente tra le folate di scirocco. Già, lo scirocco: ha soffiato anche durante la cerimonia? Se sì, non ce ne siamo proprio accorti, con quel duepizzi calcato fin sopra alle orecche, come vecchi cappelloni.