“Tombe greche”
Un Montalbano inedito – ce lo passa a pezzo a pezzo
Carlo Volpe 94/97…buona lettura!
- Buonasera Commissario, permetta che mi presenti: sono il Tenente Vittorio Maria Lucchetti e da questa settimana comando il Nucleo Operativo Radiomobile della Compagnia Carabinieri di Montelusa nel cui territorio cade anche il suo Commissariato.
- Tenente, lei al suo primo incarico è, vero?
- Signorsì, dopo un breve periodo al Reggimento a Cavallo di Roma, sono stato assegnato a codesta compagnia e sono al tempo fiero e orgoglioso che l’Arma mi abbia destinato in un territorio così delicato a difendere lo Stato dai malfattori!
- Mhmm – fece Montalbano con quella smorfia che gli pigliava quando aveva davanti il solito continentale che pensava di essere arrivato nel Far West a fare giustizia come gli sceriffi dei film di Sergio Leone – e allora faccia bene a stare arrasso dal mio ufficio. I suoi superiori l’avranno già informata che sono allergico all’acqua di colonia che passa la vostra amministrazione – disse scorbutico.
Stava per allontanarsi lasciando il Tenente
Lucchetti ammammaluccuto e con la mano destra ancora penzolante nel vuoto,
quando si accorse, da quell’albero di natale che era la divisa
- Tenente - proruppe simulando uno sguardo che ammenazzava timpesta –, lei ha fatto il classico o lo scientifico?
- Il classico, signor Commissario. – Rispose il tenente, imparpagliato per la domanda che non si aspettava. Cosa poteva interessargli in che liceo avesse studiato?
Montalbano era lì lì per chiedergli qualcos’altro, ma ebbe la prontezza di non mandare a monte il babbìo che già pregustava.
- Bene! Allora le chiederò una mano per un’inchiesta riservatissima su dei trafficanti di falsi reperti archeologici…
- Sono a sua completa disposizione.
La voce squilla del Tenente Lucchetti aveva
fatto tutt’uno con lo sbattere dei tacchi speronati. Pareva nisciuto da una di
quelle stampe di ufficiali in divisa che si trovano sullo scalone d’onore
- Dovrebbe dare un’occhiata a delle lapidi dedicatorie. Capisca, potrei benissimo servirmi dell’aiuto di qualche amico professore di ginnasio, ma la delicatezza dell’affare impone la massima riservatezza. Lei il greco ancora se l’arricorda, giusto?
-
Modestamente, prendevo sempre 8
alle versioni e il mio professore, Terone, non era affatto largo di maniche. Le
assicuro, ergo, il mio più completo ausilio – il tenente era passato dal
registro burocratico dei verbali a quello di un parrineddro di prima missa –,
da parte mia c’è tutta la volontà di applicare la recente circolare
- E allora ci vediamo nella mia casa di Marinella domani sera verso le nove.
- Marinella?
- Sissi, appena passata Vigata ci sono delle villette sulla spiaggia. Chieda al maresciallo Iovene, è napoletano, ma sta a Montelusa da trent’anni. Conosce la provincia meglio delle sue sacchette e le saprà spiegare dov’è casa mia.
Entrato in casa, stava ancora pensando a
cosa avrebbe fatto trovare al tenentino il giorno dopo. Da dove gli era uscita
sta babbariata
Finito l’effetto narcotico della pensata, a un certo momento si sentì mancare l’aria, aprì la finestra e guardò di lato. Il fumo della ciminiera della centrale elettrica andava verso l’Africa. No, non era lo scirocco la causa dei suoi patimenti. Il suo infallibile segnavento indicava il classicissimo grecale notturno, quello che i pescatori di Santulì chiamano “narisi” perché a Nord Est di quel porticciolo semi abusivo, che non compare neanche sul portolano, si trova il paese di Naro.
E allora che minnica poteva essere quel
senso di asfissia che gli aveva preso tutto nsèmmula? Apre il frigorifero e
comincia a santiare. Quella zorbata di ricevimento con tartine di finto caviale
e spumante rigorosamente italiano gli avevano fatto perdere i mirluzzeddri in
umido che Adelina, la sua fedele criàta, gli aveva preparato come ogni sera
dopo aver pulito e rassettato quella babilonia che era casa sua. La fregatura
era che adesso aveva la panza china e sarebbe stato un reato bell’e buono
trangugiare il semplice e succulento piatto di pesce senza neanche poterselo
gustare a doviri. Odiava tutte le occasioni ufficiali, odiava tutta quella
pompa autoreferenziale. Li odiava dello stesso odio che aveva suo padre,
partigiano sugli appennini, quando si avvicinava ogni anno il 25 aprile. Il
pensiero di aver liberato l’Italia da nazifascisti e di averla consegnata in
mano a certi politicanti di mestiere lo aveva sempre roso. Quasi si vergognava
di dire in giro che aveva combattuto la Resistenza e di essere stato insignito
Oggi, munito dei conforti
religiosi, si è spento il Signor:
Ne danno il triste annuncio i figli Salvo e Antonietta con il marito
Gerlando, le nipoti Maria e Desirée, i parenti e gli amici tutti. I funerali si
terranno nella chiesa della B.M.V. del Monte Carmelo domani alle 15,30. Dopo le
esequie il feretro sarà trasportato nel cimitero cittadino e tumulato nella
tomba di famiglia.
Vigata,
18 giugno 1993
Ancora si ricordava di quella cerimonia toccante. Dell’ammiraglio Sciangula, presidente della locale sezione dei Marinai d’Italia, che al termine dei funerali aveva voluto leggere con la voce rotta dai singhiozzi la Preghiera del Marinaio scritta da Fogazzaro:
“A Te, o grande eterno Iddio,
cui obbediscono i venti e le onde, noi,
uomini di mare e di guerra,Ufficiali e Marinai d'Italia,
da questa sacra nave armata della Patria leviamo i cuori.
…”
Gli erano
rimaste scolpite in testa quelle parole. A lui che era dal matrimonio della
sorella che non si prendeva la Comunione. E quella
A un certo punto si riebbe. Ma come era
andato a scoppare ai ricordi d’infanzia, alla madre, al funerale
Il nirbuso continuava ad acchianargli, ma
non si dava paci su quale potesse essere la causa
-
Ah, le lapidi greche! Disse ad
alta voce rimproverandosi poi di aver parlato un’altra
- Pronto? Fazio?
- …dottore lei è. Ma chi ore sono?
- Non lo so e non me ne fotte. Fazio ascoltami, chi si occupa di marmi e pietre a Vigata?
- Dottore, ma con gli arretrati dello stipendio, che si vuole comprare il cesso di granito?
- Fazio, fai poco lo spiritoso, è una cosa importante.
Sapeva di star mentendo spudoratamente, ma fece in modo che Fazio, il suo braccio destro nelle indagini che proseguivano anche quando il Questore lo sollevava dall’incarico, non se ne accorgesse.
-
Allora, ci sono i fratelli
Milano in via Monti Mario o Monti Vincenzo. A st’ura faccio tanticchia di
cunfusione. Hanno grande smercio, ma le cose di fino non sono roba loro e
trattano male i clienti. Poi c’è la ditta di quello un poco garruso, in via
- Mi serve uno che sappia scrivere bene sul marmo e sia abbastanza discreto.
- Duttù, scusasse, ma cu murì?
- Nessuno, Fazio. Non è morto nessuno. Mi serve per una cosa mia e non posso fare malafigura.
- Allora se è per far scrivere qualcosa senza dari troppa cunfidenza può andare a colpo sicuro da quello che inteso “Liuni di mari”, avi presente? Quello che il figlio se n’è andato al Nord a lavorare. Lei comunque, dottore, mi sta cuntando la mezza missa.
- E dici che è bravo a incidere ed anche riservato?
- Dottore, di scrivere sapi scrivere tutto quello che ci pròino supra a un foglio. Pure lingue straniere, tanto non capisce quello che c’è scritto. Ha fatto lui le lapidi in arabo per quei poveri disgraziati che sono morti quando il loro barcone è affondato a cento metri da Capo Russello. Sulla riservatezza, a meno che non si tratta di vastasate, vi potete fidare.
- Grazie Fazio. Buonanotte.
- Ormai me la guastò. Ci vediamo domani in commissariato, dottore.
Aveva l’idea e adesso anche l’incisore. Ora
doveva solamente spremere le meningi e ricordarsi un po’ delle lezioni di greco
che aveva dovuto prendere per superare l’esame da esterno per la maturità
classica quando, diciottenne e fresco di studi “scientifici”, si era amminchiato
che dovesse fare l’archeologo per trovare il teatro greco di Montelusa e
risolvere il grande mistero che attanaglia da secoli tutti gli studiosi di
antichità. Dove sarà finito il teatro di Montelusa? Dove l’avevano costruito i
greci? Perché di costruirlo, lo hanno costruito, questo è sicuro. Una città che
Plutarco dice aver contato anche 200.000 abitanti, figurati se non aveva un
tiatro. Ci hanno fatto addirittura due acropoli su due colline appaiate. Il
teatro ci deve essere sicuramente, ammucciato da qualche parte o sotto le case
La testa gli faceva avanti e narrè quella notte. Prima i ricordi di quand’era caruso, adesso i sogni di gloria della prima giovinezza. Novello Schlieman. Si vedeva a scavare e a buttare giù quelle quattro case abusive che politici, magistrati e prefetti, se non conniventi, almeno misteriosamente ciechi, avevano lasciato spuntare negli anni qua e là per la Valle dei Templi. Non proprio nella quantità che dicevano i giornali del Continente. I suoi concittadini si erano limitati a tirar sù qualche seconda casa nel posto dove i loro antenati di 2000 anni fa si godevano lo stesso mare e la stessa arietta. Ma i templi, quelli, non li aveva toccati nessuno e le foto che pubblicavano sui quotidiani di grido erano degli abili scatti col teleobiettivo in cui sembrava che i palazzi della città vera e propria si ergessero tra i capitelli dorici. Peccato che nella realtà tra i templi e la città c’erano tre chilometri di mandorli che in febbraio imbiancano dei loro fiori il declivi verso il mare. Quanto s’incaniava quando vedeva certe cose, ma intanto si sa. Anche a scrivere una littra di protesta, ti mettevano le scuse in una paginetta ammucciateddra che non legge nessuno e intanto loro lo scoop l’hanno fatto.
Niente. Il ciriveddro non ne voleva sapere
di concentrarsi. Montalbano lasciò il lapisi e il foglio di carta e si susì per
farsi una cafè con la napoletana. Livia, la sua eterna zita genovese, gli aveva
regalato una di quelle macchine casalinghe che fanno l’espresso come al bar, ma
lui non l’aveva mai usata. Quando sapeva che stava venendo da lui l’allordava
con un poco di cafè per far sembrare che la usasse, ma in realtà non sapeva
manco come funzionava. Livia si ci faciva il cafè, ma a lui non piaceva. Veniva
troppo acquariuso, mentre la napoletana lo faceva
Dalle persiane intanto cominciava a filtrare qualche splavido raggio di sole. Non aveva dormito tutta la nottata pensando a cosa avrebbe fatto incidere sul marmo per prendere solennemente per il culo il tenente Lucchetti.
Ma che la finisse di babbiare alla sua età e pinsasse alle cose serie, a mettere la testa a posto e a maritarisi con quella bella picciotta che il Signuruzzo solo sa come non lo aveva ancora lasciato.
Lo scanto di una finestra che si aprì di colpo gli fece cadere mezza tazzina sulla cammisa bianca che aveva ancora addosso dalla sera prima. Era cangiato il vento. Si stava per mettere un ponentino camurruso e lui ancora non aveva trovato che cosa far scrivere sulla lapide.
Pacenzia. Se non si allistiva non ci sarebbe stato tempo. Forse una natatina gli avrebbe schiarito le idee.
- Dottori, dottori…
- Che c’è Catarella, stamattina? Guarda ca mi susivu col pedi sbagliato
- Dottori, ha tilefonato un carrabunere stamatina quando vossia non era ancora arrivato in ufficio.
- E pirchì me lo cunti a mia?
- Pirchì disse che voleva parlare con lei pirsonalmente di pirsona, ma io ci dissi che vossia non era ancora trasuto e ca lo potia attrovare chiù tardu a mità matinata, che sarebbi ora in questo mumento priciso, e sicuramenti sarebbe arrivato.
- E allora quando ritelefona passamelo.
- Scusassi dottori, il fatto è che lui ha detto che stava partenno per Lampidusa pirchì c’erano stati sbarchi di extraterrestri e lo stavano mandando per almeno una simana.
- Catarella! Ma che minchia ci vanno a fare i marziani in quell’isola?
- Nonsi dottori, non sono marziani. Quelli che sbarcano a Lampidusa non sono virdi come nei firm miricani, sono nivuri nivuri comu la pici e vengono dell’Africa.
- Vabbè, ma si può sapiri a mia cosa me ne deve futtiri che un carabbunere è stato mandato a Lampedusa perché qualche barcone di extracomunitari è sbarcato? Ti facisti dire comu si chiamava il carabbunere?
- Mi disse che si chiamava Catanazzo, parlava tutto strano, forastiero. Mi disse che era il Nullatenente Catanazzo e ca si scusava se stasira non poteva fare quella cosa per lei che sa solo vossia, ma che l’avevano mandato a vidiri cosa succidiva a Lampidusa.
Perfetto. Il tenente Lucchetti non sarebbe stato di ritorno presto e per la sua pinsata lui avrebbe avuto una simana abbunnanziusa di tempo per fare le cose per bene.
Senza dire nè ai nè bai chiamò Fazio che si presentò comu un razzo nel suo ufficio
- Fazio.
- Comandi, dottore.
-
Il dottor Augello se la fa
ancora con la figlia
- Che ne so io, dottore. Addumannassiccillu al dottore Augello. Io l’affari miei mi faccio.
Lo conosceva
benissimo. Quando principiava così, Fazio voleva far capire che si sintiva
offiso. Più che la domanda sull’ultima conquista
Montalbano lo sapeva, ma non poteva svelare al suo fido ispettore che lo aveva svegliato nel mezzo della notti per uno schiribizzo che gli era venuto in mente per, come dire, “accogliere” il tenente Lucchetti.
- Vedi Fazio – principiò senza tanto essere convinto delle parole che ci niscivano dalla vucca -, ti ricordi il caso di quegli atti di vandalismo al camposanto l’anno scorso?
- Sissi dottore. Archiviammo il caso perché ci parse il gesto di qualche picciottazzo che, in mancanza di chiffari e con qualche pinnuliddra di queste droghe sintetiche in corpo, era andato a sfogarsi le corna contro qualche lapide al cimitero.
-
Esatto. Escludemmo da subito la
pista antisemita perché qui gli ultimi ebrei se ne fuirono nel 1492, quando
c’erano gli Spagnoli. Poi percorremmo la pista satanica, ma anche lì arrivammo
a nenti. Dopo ci firmammo.
Si assistimò meglio sulla seggia e poi riprese, guardando all’incrocio tra il soffitto e le due pareti di destra come a cercare una trinitaria ispirazione. Dopo una manciata di secondi, spiò:
- Chi rifece le lapidi?
- Non lo so, dottore. Ma chi impurtanza avi?….. ah… non mi dicisse che sta pensando quello che penso io?
- Chi pensi Fazio? Vediamo…
-
Meno male che Fazio si era messo a fare il piccolo Sherlock Holmes. Montalbano si mise ad ascoltarlo spaparanzato sulla sua seggia commissariale che in quel momento principiava a diventare meno scomoda.
- Se vossia pensa quello che penso io, le presunte profanazioni altro non sarebbero che un modo per fare ecchisinovo qualche lapiduzza e guadagnare quarche soldo. Se permettete un suggerimento, subordinatamente, cercherei di scoprire se le lapidi le rifece solo uno dei marmorari del paese e macari se le suddette lapidi sono solo di famiglie benestanti per le quali sarebbe una vrigogna avere la tomba di famiglia con i maduna a vista.
- Bravo Fazio! Ti proporrò per la promozione a Vice Commissario!
-
Vossia sempre gana di babbiare
ha. Poi ce lo dice lei al dottor Augello che gli ho fregato il posto? Ah, a proposito
Bastava poco per far ritornare Fazio nel
migliore sbirro
-
Volevo solo sapere se esce
ancora con quella ragazza, la figlia
- Di uscire ancora, escono… e non solo – fece Fazio col sorrisino di chi la sa lunga -. Sulla laurea onestamente non ricordo in cosa si laureò di specifico, ma se vuole posso spiare a mia sorella che era sua compagna di scuola media e ancora si praticano. Se non ha altro da chiedermi mi accomoderei e mi metterei al lavoro. Prendo Galluzzo con me e vediamo di farle avere qualche indizio nel doppopranzo
Due uomini
Dopo aver idealmente immolato i bei mirluzzi sull’Altare della Patria, aveva uno spinno irrefrenabile di siccie arrustute.
- Dottore carissimo, ci preparo anche un piatto di pasta col nero. S’assittasse che ci porto il vinello nuovo d’in campagna che piace a lei.
- Salvo!
- Mimì, che ci fai lì dietro ammucciato?
- Ma niente. Ho visto passare dalla finestra a Michela e non volevo farmi vedere.
- Susiti, dai, e non contare minchiate. Che è successo con Michela?
- Ma niente Salvo, le solite cose. Aieri sira era nervosa che non ci ha preso all’esame per passare di ruolo alla scuola e si è sfogata con me. Io avevo i cabbasisi girati per i fatti miei e ci siamo sciarriati. E oggi non ho ancora gara di fare pace.
- Ahi, Mimì Mimì, certe volte sei peggio di un addrevo. Assettati qua che ti devo chiedere una cortesia.
- Di che si tratta Salvo?
- Appena ti riappacifichi con Michela avrei bisogno di parlare con lei. Ho bisogno di una consulenza di greco antico.
- Che è, non ti bastano più i romanzi e ti sei rimesso a leggere i classici in lingua originale?
- Più o meno.
- Dottore, eccole gli spaghetti al nivuro di siccia. Le siccie arrustute le vuole come al solito senza sale?
- E con mezzo limone e un misurino d’oglio allato.
- Salvo, ti lascio mangiare in santa pace. Mi vado a fare una passiata al molo che m’arripiglio tanticchia. Ci vediamo più tardi in ufficio.
Montalbano con la testa fice nzinga di apprezzare
il gesto
- Pronto! Sì.. Montalbano sono, chi parla?… ah Michela… sì avrei… come dire… è una stupidata, non vorrei disturbarti… gentilissima…ci possiamo vedere per un caffè da Castiglione fra cinque minuti?
Michela l’aveva chiamato al cellulare di servizio. Il numero gliel’aveva sicuramente dato Mimì che l’aveva assicutata per riappacificarsi, cuntanno a Montalbano che andava a fare due passi al porto.
Fortuna per lei che l’aveva chiamato subito dopo l’ultimo saporito boccone.
- Dottore Montalbano soddisfatto è?
- Sei un artista tu, altro che cuoco!
- Dottore eccomi, di cosa mi voleva parlare?
-
Innanzi tutto diamoci
- Mi viene un poco difficile, lei è solo di qualche anno più giovane di mio padre.
Questa risposta l’aveva assintumato. E’ vero che gli anni correvano, ma dirglielo così a brucia pelo doppo mangiato gli faceva sempre un certo effetto.
Si lasciarono salutandosi cordialmente. Vai a capire che cosa Mimì aveva contato a quella ragazza per farla telefonare subito. Sul foglio di carta che stringeva in mano c’era il risultato dell’appuntamento: alcune lettere greche da far incidere su un pezzo di pietra o di travertino. Si avviò lentamente verso il commissariato, taliando di tanto in tanto quella paginetta spiegazzata. Poi la richiudeva e con una risatina si rimetteva a camminare. Si l’avissi visto qualcheduno senza canoscerlo, l’avrebbe sicuramente scangiato per uno di quei mischinazzi che girano per Vigata con la testa cotta dal sole.
Tuppiò con forza alla vecchia porta in legno. Tuppiò di nuovo e ancora silenzio. Quando stava per andarsene grapì un vicchiareddro che ci spiò cosa voleva.
- Vossia è capace di scrivermi una lapide con delle lettere che non si capiscono?
Lo scoppio delle risa
-
Voscienza non lo sapi ca io
sono completamente arfabeta? Nun aiu scola e questo misteri l’ho imparato da
mio patre quando ero nicareddro. Ma mai e dico mai nessuno si è lamentato
-
Taliassi, lei la cosa che avi a
fare è scolpire queste littre pare pare su un pesso vecchio di
-
Si Voscenza è cuntenti così, ci
posso fare stu servizio su una lastra di
Montalbano si era già preparato tutte le risposte alle possibili domande sorte dalla curiosità per la strana richiesta. E invece il “leone marino” non se ne avia minimamente fottuto. Meglio così, pensò.
- Fra una quattrina di iorna la trova pronta. Primisi primisi aio a finire la scritta per il nuovo momumento ai caduti ca la simana che trase c’è l’inaugurazione.
E’ vero! Se ne stava dimenticando. Da lì a
otto giorni avrebbe dovuto rimettersi la cravatta e per giunta di matina. Il
sindaco si era messo in testa di far costruire un nuovo monumento e
l’inaugurazione era prevista il 10 giugno mattina. Si sarebbe voluto mettere in
malattia al solo pensiero, ma intanto gli attoccava. Era previsto l’arrivo del
Sottosegretario alla Difesa, che era
- Nenti di nenti dottore.
- Su cosa, Galluzzo?
- Sulla storia delle lapidi e delle profanazioni. Con Fazio abbiamo chiesto in giro e abbiamo macari fattu un sopralluogo al campusanto, ma nulla sembra far pensare ad un disegno criminoso, seppur di bassa lega, sotto. Le lapidi ognuno se l’è rifatte dove gli piaceva e nessuno dice di aver subito pressioni.
- Grazie Galluzzo, grazie. – fece con un gesto quasi liberatorio.
Si era rimesso di nuovo a pensare a sto
binidittu scherzo da fare al tenente appena arrivato. Ma che stronzata. Non ne
aveva fatti mai da quando stava in Polizia. Al corso per commissari erano tutti
seri e compassati. Mai una battuta, figurarsi queste cose da caserma di najoni.
Da dove gli era spuntato tutto questo disio di prendere bonariamente per i
fondelli a Lucchetti? Sarà stata la facci di saputello che aveva, che lo faceva
sembrare il capoclasse
No, lui lo sapeva benissimo. Il suo istinto
goliardico era rinato solo grazie ad un piccolo particolare per molti
insignificante. Mezzo giro sulla sedia ed eccolo lì, sguardo fisso sulla parete
di sinistra. Come l’ufficio di ogni funzionario o ufficiale di qualunque ordine
e grado, anche Montalbano aveva su un muro della sua stanza la collezione di
crest, piatti di ceramica e scudi vari. Al centro, ben in risalto, ce n’era
uno. Il più vecchio di tutti e neanche tanto
Non si accorse neanche che era entrato Mimì Augello.
- Oh! Salvo, che fai? Ti sei addrummisciuto?
- No, Mimì, ma si può sapere pirchì sei trasuto senza manco bussare?
-
Salvo, era aperta e poi da
quando in qua sei diventato così cerimonioso? Mi devo fare annunciare da
Catarella la prossima
- No, niente Mimì, è che stanotte non ho dormito e sono tanticchia nirbuso.
-
Senti Salvo, ha appena chiamato
il Capo di Gabinetto della Questura. Vuole un rapporto dettagliato sullo stato
della sicurezza a Vigata. Per la cerimonia
-
Ma che sorprese e sorprese? Mi
hanno rotto le scatole con queste fisime
- Almeno mi dici perché tu e Michela siete così misteriosi su sta storia dei classici greci?
- Niente Mimì, lo sai come sono. Ogni tanto mi fisso che devo leggere Omero dal greco e se non arrivo manco al primo punto mi annerbo.
Andando verso la macchina si accorse che gli operai stavano dando gli ultimi ritocchi alla grande ancora nera che ora campeggiava al centro della piazza di Vigata. Alla targa magnogreca e al suo tenente avrebbe pinsato domani.
Per
tornare a Marinella prese la strada di sopra. Quella che passa al Pero. Gli era venuto in testa
di andare a salutare un suo caro amico, un dirigente del Comune di Montelusa da
alcuni anni in pensione.
Si avvicina al
citofono della villetta e subito i due pastori tedeschi cominciano ad abbaiare.
-
Chi
è?
-
Montalbano,
sono!
-
Pure io.
Scupa!
Aveva sempre gana
di babbiare il suo amico. Si erano conosciuti alcuni anni fa per un caso di
quasi omonimia. Aveva da poco preso servizio a Vigata e si trovava al Municipio
di Montelusa per una pratica. Dagli altoparlanti la signorina cominciò a dire
che il dottor Montalbano era pregato di recarsi davanti all’ufficio del sindaco
e così si era ritrovato insieme ad un altro signore dalla barba bianca fuori
dalla porta chiusa. Incuriosito, attaccò bottone con il barbuto sforzandosi di
parlare in perfetto italiano, cosa che quando aveva prescia non gli arrinisciva
naturalissima:
Che cosa
singolare, non trova? Metto piede per la prima volta in Comune e già mi tocca
il rimprovero del sindaco. - Gli niscì dalla vucca non sapendo che cosa dire.
-
Scusi?
– fa il distinto barbuto
- Sì, non ha sentito gli alto parlanti? Cercavano il dottor Montalbano e… eccomi qui
- Ma guardi che il dottor Montalbano che cercano sono io, sono un dirigente comunale.
- Ah, che stupido, è un qui pro quo. Piacere Salvo Montalbano, sono il nuovo Commissario di Pubblica Sicurezza di Vigata
- Ah, piacere commissario, sa che anch’io abito a Vigata anche se lavoro qui a Montelusa? Allora spero di vederla presto. Avrei il piacere che fosse ospite a casa mia una di queste sere, se i suoi impegni di lavoro con i miei, con i nostri compaesani glielo permetteranno.
- La ringrazio. Farò di tutto per esserci, vigatesi permettendo.
- La saluto, il sindaco si è liberato e devo entrare. La cercherò in commissariato, va bene?
- I miei rispetti.
- Salvo a che devo la tua visita
I due Montalbani di Vigata, dopo sane
scorpacciate di pesce ormai si davano amichevolmente
- Ma niente Japichì, passavo di qua e mi sono ricordato che era da una vita che non ci vedevamo. Per una cosa o per un’altra alla fine il lavoro ti risucchia e passano i misi senza che te ne adduni.
- Ti capisco, ti capisco. Vedo sempre le tue operazioni su “Televigata”, anche se non capisco mai perché fai sempre parlare il tuo vice alle conferenze stampa.
- Lo sai che sono timido. Mi affrunto a parlare in pubblico e l’obiettivo della telecamera mi mette suggizione.
- Aspetta, aspetta… te lo pigli un cafè? Ti devo far vedere le foto.
- Quali foto?
- Quelle che abbiamo fatto a febbraio a Montelusa e a Ragona
-
Le hai sviluppate? Porta,
porta. Belle! Taliali. Si saranno fatti una barba più lunga della tua, quei picciutteddri.
Tu e Michele gli avete fatto fare un giro di pazzi: la Valle
-
Amunì Salvo, picciotti sono, no
vecchi come a mia. Alla loro età uno stambecco ero, e a quei tempi c’era la
fame. Era ancora il dopoguerra. E poi, sai, sono anni che manco da
- Eh… beh… in realtà ti volevo mettere a parte di una cosuccia che non posso contare in Commissariato asennò mi pigliano per scemo. Perciò… è arrivato a Montelusa un nuovo tenente dei Carabinieri, un bravo picciotto sia ben chiaro, ma con quell’arietta da saputello che mi ha fatto venire lo spinno di fargli uno scherzo innocuo, una cosa innocente, di benvenuto.
Mentre Montalbano il Commissario contava
con gli occhi che ci friivano di ebbra contentezza, Montalbano il barbuto lo
ascoltava col mezzo sorrisino
- Salvo, mi raccomando, fammi sapere come va a finire.
- Ci mancasse altro. Ti saluto, scappo. Ah, ci vediamo in piazza alla festa della Marina.
- Gnà certo, almeno passo una matinata tanticchia diversa dal solito. Ciao Salvuzzo.
Prima di tornare a casa decise di fare un
salto dalle parti
- Dottore, un travagliu di mastro vinni. Non ci capii niente di quelle littre tunne tunne con tante virgole in capu, ma vennero pare pare al pizzino che vossia mi aveva lasciato.
Il pizzino! Anche Montalbano si era messo a comunicare con fogliettini di carta adesso? Nell’era delle più avanzate tecnologie di trasmissione dei messaggi, quella parola “pizzino” gli ricordava la furbizia e la prudenza di certe sorti di delinquenti che si prendevano beffa di intercettazioni satellitari, cimici e computer comunicando i loro ordini ed i loro desiderata con grafie tentennanti su un pezzo di quaderno di terza elementare o su un lembo della carta marroncina del pane.
- Facissimi taliare. Bene, quanto ci devo dare?
-
La casa offre, dottore. Più che
un travaglio fu un divirtimento. Quanno una cosa è nuova io ci piglio passione
e non talio nè orologi nè niente. E poi, con la balata
Dopo un’ultima taliata, Montalbano incartò quella lastra di marmo in un po’ di carta di giornale e se ripartì per Marinella friscando in macchina come un acidduzzo appena affaccia il sole a livante. Ancora non si era preparato lo scherzo nei dettagli, ma la sua presunzione di essere un attore consumato lo faceva sentire abbastanza sicuro. Avrebbe recitato a soggetto, come sempre.
Prima di infossonarla sotto un po’ di terra gli diede un’ultima guardata compiaciuta. A quella balateddra mancava solo un po’ di vecchio addosso e poi era pronta per la messa in scena.
Durante la Messa il nuovo parrino si era
preso un colpo di scanto quando, durante una benedizione, l’ufficiale
Uscita dalla
Matrice, la fanfara dei bersaglieri venuta da
Da una via laterale stavano cominciando ad
entrare i plotoni armati. Cosa di affruntarsi! Non c’era un poliziotto che
andasse al tempo della banda. Meno male che non c’era nessuno dei suoi, ma era
tutto personale della questura di Montelusa. Almeno questa
Il tenente Lucchetti era in testa al
reparto dei Carabinieri. Feluca con giummo e divisa ottocentesca con parapirita.
Tra lui e quei poveri marinai in tuta da sommozzatori era difficile decidere
chi sudasse di più. Con la ricetrasmittente in mano, Montalbano passava
dall’ombra di un platano a quella della tenda di un bar dove i cristiani
gustavano mollemente una granita, mentre si succedevano discorsi e
presentat’arm, applausi e squilli di tromba. L’inno di Mameli cantato a
squarciagola dai picciliddri delle scuole elementari nei loro grembiulini
bianchi e azzurri e fiocco bianco, rosso e verde per l’occasione. Il telo che
non scendeva a scoprire quell’ammasso di ancore, oblò, cannoni e scialuppe che
era il monumento. Lo Zu Nardo, ottacinquenne figura mitologica
dell’associazione dei marinai, che con una canna riesce ad avere ragione
Il commissario non ne poteva più. Non vedeva l’ora che tutti questi forestieri lasciassero in pace la “sua” Vigata e se ne andassero a stracatafuttirisilla arrasso per almeno un altro anno.
Purtroppo ancora c’era la bicchierata in Comune alla quale non poteva assolutamente mancare.
- Commissario!
-
Ah Tenente, si è arrossicato
ben bene a Lampedusa. E’
-
E sì, fa veramente caldo
laggiù, è proprio in
- Se lei se ne va in villeggiatura al mare a recuperare barconi di povirazzi che vagano per il Mediterraneo si avanza di poco! Ci vogliamo vedere stasera da me? Ho del materiale da farle visionare.
- D’accordo Signor Commissario, magari prima di tornare a Montelusa mi faccio spiegare dov’è casa sua.
- A stasera allora e mi raccomando: acqua in bocca!
- Comandi.
I salatini gli avevano fatto passare come
al solito il pititto. Con le mani incrociate dietro la nuca se ne stava a
guardare la parete di crest e scudetti vari ridacchiando un po’ sui complimenti
Qualcuno stava tuppiando alla porta. E come
al solito era Catarella che con i suoi modi delicati lo aveva fatto arrisantare
dalla seggia facendo finire a terra il bicchierino di cafè che il picciotto
- Dottori, dottori!
- Che c’è Catarella? Talè che tagaria mi hai fatto fare in terra!
- Dottori, c’è un certo signori che ci vuole parlare a lei pirsonalmenti. Dice che è cosa che ci può interessare.
- Ti sei fatto dire chi è?
- Dottori, col suo nome di vattìo non lo canosce manco sua mogliere. Lo chiamano tutti con la stissa ngiuria intifica che avia suo patre, suo nanno e suo catananno. E’ il nome di un armalo marino.
- Fallo trasere, ho capito chi è.
- Duttù, m’ave a scusare se la distrubbo, ma propria aieri mentre stavo arrizzittanno il magazzeno attruvavo una para di balate vecchie che mi avia purtato me jènniro una cinchina d’anni arrè. A prima taliata li stava gittanno, poi, siccome erano scritti strani pinzavo a vossia e li sarbavo. Quanno vole, vene nella mia putìa e ce le faccio vedere, avanti che qualcuno se le vuole accattare per appizzarle a casa o in qualche villino.
- Non mancherò. E grazie della cortesia.
Dopo avergli stretto la mano, lo stava riaccompagnando alla porta quando si ricordò della cerimonia della mattina.
-
Sto addiventando vecchio, disse
il commissario, mi stavo scordando di farle i complimenti per la targa
- Grazie duttù. Vitti che bella faccia fici l’onorevole? Mi prumise puro che deve fare avvicinare a mio figlio a casa. Una volta c’era il Banco e un pusticeddro non si negava a nessuno. Ora è un poco chiù trubbola la cosa, ma siamo nella mani di San Calò e di qualche onorevole di buon cuore.
Non sarebbe mai cambiato niente! Ancora a far anticamera per un posticino fisso vicino a mammà. Macari quel picciotto in continente ci sta benissimo e suo padre lo vuole per forza sotto casa…
Nel frigo c’era un’insalatera piena di
faggiolina, cipolla squadata e patate.
Si immaginava quella brava donna a spuntare
ogni singolo faggiolino sopra e sotto e togliere il “filo” e man mano buttare a
mollo nella pentola. La stessa immagine della sua bisnonna, assettata sotto il
pergolato a mondare faggiolina per figli, nipoti e pronipoti allegramente
sguazzanti fra i cavalloni
Sì, ma ora il filo nella faggiolina non c’era più. Solo qualche viddrano aveva ancora quella “antica”. Anche le catananne di ora si erano convertite ai fagiolini moderni, se non addirittura a quelli in scatola che arrivavano da non si sa dove. Da Israele, dal Sud Africa, dalla Spagna, dalla Grecia… la Grecia, diavolo, doveva disseppellire la lapide prima che arrivasse Lucchetti. Il resto della fagiolina poteva aspettare qualche minuto.
Ritornato a tavola accese Tele Vigata. Il servizio sull’inaugurazione della mattina era una sviolinata al sindaco, al sottosegretario e alle autorità tutte che avevano attenzionato, sì! attenzionato, verbo totalmente inesistente in tutti i vocabolari, ma che piaceva a tutti quei venditori di fumo che si spacciavano per amministratori della cosa pubblica a Montelusa e dintorni.
Decise che era meglio ritornare alle meditazioni sulla selezione dei fagiolini, ma mai senza prima dare uno sguardo al notiziario di Retelibera, dove il suo amico Nicolò Zito parlava degli ultimi sbarchi di immigrati e lamentava la cattiva pubblicità che le reti nazionali facevano al turismo della provincia.
Non ebbe manco il tempo di godersi un po’
la frescura
-
Ciao Salvo!
Che sul concetto di necessario e di superfluo avessero idee divergenti, se non addirittura opposte, era evidente. Montalbano decise di far finta di niente e in pantaloncini e maglietta prese le valigie che il tassista aveva adagiato sul marciapiede.
- Ciao amore, non sei contento di vedermi? Dammi un bacio, sù!
Livia era particolarmente frizzante. L’idea
di stare a due passi dal mare africano nelle due settimane più belle della
stagione la entusiasmava. Un po’ meno entusiasta era il commissario. Il
pensiero che per due settimane non avrebbe rivisto la triglie e i merluzzi di
Adelina, la criata, lo metteva di cattivo umore. Le due donne non si sopportavano
reciprocamente. Adelina non metteva per niente piede in casa
- Come fu il viaggio?
- Cosa t’interessa, vieni, prendimi, ho voglia di riempirti di baci e di coccole fino a domani mattina, Salvo. Morivo dalla voglia di vederti. Ogni giorno i tg fanno vedere questo mare e io, a Boccadasse, a pensare a te…
“Drinnn”
- Salvo, chi suona a quest’ora? Chi ricevi alle 9 di sera in casa?
Tra lo stanco e l’imparpagliato provò a spiccicare due parole, ma non ci riuscì. Livia era diventata d’un tratto una furia. Faceva come una maria.
- Livia, sarà il tenente Lucchetti dei carabinieri. E’ venuto per un’indagine che stiamo seguendo in comune
- Ah, sì? allora digli di venire domani in ufficio. Adesso tu non sei in servizio. Hai capito?
- Mi pare maladucato. Aspetta un attimo. Lo saluto, te lo presento e poi gli dico di passare con calma domani in commissariato.
Saranno stati i modi gentili
- Tenente, per quella cosa facciamo un altro giorno. La chiamo quando salgo a Montelusa.
- Ma no, Salvo, scusa. Il povero tenente è venuto apposta fino a Marinella e tu adesso lo rimandi a casa? Vi preparo un tè o un caffè mentre voi parlate.
Era ammammaluccuto. Montalbano non sapeva più che pesci prendere. Un minuto prima Livia era ostile a qualunque essere vivente fosse pronto ad entrare in casa e un minuto dopo si metteva pure a fare la dolce padrona di casa. Proprio vero che chi scecchi caccia e femmine crede lustro di Paradiso non vede.
- Ecco qui, tenente. Questa è una lapide di cui sono riuscito a venire in possesso grazie ai miei contatti nell’ambiente dei ricettatori. Qui qualcuno commercia in beni che dovrebbero fare bella mostra di sè nei musei pubblici e non nei caveau privati di banche svizzere.
Lucchetti afferrò con mani sicure la lastra, la rigirò, la guardò bene. Alzò gli occhi verso Montalbano che lo osservava fingendo distacco. Riguardò ancora poggiando i polpastrelli sulle lettere incise e poi proruppe:
- Commissario, lei è proprio sicuro che si tratti di qualcosa di autentico?
Vuoi vedere che quel figlio di buona donna
di un tenente si era accorto che quella lapide aveva visto lo scalpello per la
prima
- Mi esponga quali sono i suoi dubbi - fece il commissario cercando di non scoprire troppe carte.
-
Veda commissario, per quel po’
di epigrafia che conosco, questa lapide mi sembra totalmente falsa. – cominciò
a ragionare Lucchetti – Se insomma fosse una lapide di età classica mi
aspetterei di vedere delle belle lettere ben incise, armoniche, chiare. Se
fosse solo di un paio di secoli prima di Cristo me la immaginerei con delle
lettere un po’ più ricamate di gusto ellenistico, oppure totalmente squadrate
fino a rappresentare la omicron con un quadrato al posto di un tondo, come in
qualche epigrafe
-
Mmh – cominciò Montalbano non
sapendo su quale specchio appiccicare – mi lasci pensare… lei sembra escludere
totalmente che si tratti di un’epigrafe che sia a cavallo tra il V sec. a.C. e
il II
Nonostante Lucchetti fosse un osso duro, il ciriveddro di Montalbano caminava ancora. Scacco! Aveva pensato tra sè e sè. Vediamo ora se quella spilla che aveva sulla divisa il tenente se l’era meritata veramente.
Livia eri lì ad ascoltare queste dotte disquisizioni come assorta. Le valigie erano rimaste all’ingresso. Ci sarebbe stato tempo domani per sistemarle. Era sparita anche ogni voglia di chiudersi in cammara da letto fino all’alba. Seguiva con lo sguardo i ragionamenti dell’uno e dell’altro buttando ogni tanto una taliata su quella successione di alfa beta e gamma incise sulla pietra.
-
Guardi Commissario – il tenente
Lucchetti aveva assunto un tono più deciso, come quello di chi ha la partita in
pugno e vuole cercare di spiegare all’avversario quali mosse lo hanno
allontanato dalla
- Ma…
-
Aspetti dottore, – Lucchetti
aveva anche interrotto il commissario. Adesso che era di mano nel gioco, voleva
buttare l’ultimo carrico da undici per assuntumare completamente ogni velleità
archeologica
Livia aveva addirittura applaudito alla
fine